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Pro veritate adversa diligere
Card. Carlo Maria Martini
Il motto episcopale dell’Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini è stato da  lui stesso commentato a conclusione di un corso di esercizi spirituali predicato ai  sacerdoti. In quel giorno cadeva la memoria liturgica di san Gregorio Magno, “uno dei pochi santi, con sant’Ambrogio – ha spiegato lui stesso – di cui la Chiesa celebra  il giorno dell’inizio del ministero pastorale e non della morte. Forse perché la Chiesa ha compreso che per Gregorio e Ambrogio essere pastori è stata la loro santità”.
La frase che lo ha ispirato è tratta dal Liber Regulae pastoralis. Come il Signore Gesù, quando vennero a prenderlo per la passione, si presentò e disse: sono io, così anche il vero pastore deve, per amore della verità, amare le cose avverse e invece sentire piuttosto distacco, disagio, per le cose favorevoli.
“Gregorio Magno dice che bisogna avere paura delle circostanze favorevoli e amare le circostanze sfavorevoli. Il mio motto ricorda che bisogna essere contento delle contraddizioni. Gregorio lo riporta prima di Giovanni 6, poi dopo la passione. Quando vennero per incoronarlo re, Gesù fuggì e si nascose; quando vennero per arrestarlo, si presentò, insegnandoci che dobbiamo «Pro veritate adversa diligere et prospera formidando declinare – Per la Verità amare le avversità ed essere cauti e guardinghi di fronte al successo».
Per la verità e la sua ricerca quante prove bisogna affrontare, quanti ostacoli vanno superati, quante insidie e invidie si incontrano, eppure occorre restare sempre fedeli al progetto che Dio ha su di noi.
Da dove gli sia venuto questo coraggio lo scrive lui stesso, in una delle sue lettere pastorali: “La mia regola fondamentale e fondamento della mia fiducia è lo Spirito Santo, che opera sempre prima di noi, più di noi, meglio di noi, in maniera più lungimirante di quanto possiamo operare noi, con uno sguardo più vasto del nostro, uno sguardo che abbraccia il mondo intero. Questo stesso Spirito opera pure nei mutamenti di Chiesa: un vescovo passa, lo Spirito resta”.
La sua è stata una vita spirituale molto intensa, sbilanciata sul benessere altrui. A chi gliene chiedeva conto ha confidato: “Io non prego per me, io intercedo per gli altri, per le persone che conosco. Quando sono nervoso e turbato, questo tipo di preghiera mi aiuta molto, non penso a me e mi concentro sugli altri e ritrovo la serenità!”.
A distanza di anni, rileggendo il lungo e fecondo ministero vissuto a Milano, possiamo meglio comprendere quale grande esempio di vita ci ha lasciato, perché ha saputo coniugare il primato della Parola e di Dio con uno spassionato amore per i poveri e le persone più abbandonate.
Il suo motto dunque lo ritroviamo perfettamente confermato dal suo stile di pastore, dotato di un discernimento sapiente, di una capacità di testimonianza coraggiosa, di profonda libertà interiore, di vivace parresia evangelica, di ricerca spassionata del vero.
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